Un'immagine di Vittorio Pagano in un disegno di Santa Scioscio |
La dedica che apre e titola la rassegna – oggi venerdì 27 dicembre - è a Vittorio Pagano, “l'altro Vittorio”, l'irregolare. Intellettuale e poeta leccese Vittorio Pagano - nato a Lecce nel 1919 e qui scomparso nel 1979 - è “una di quelle autentiche figure di intellettuali avide di cultura che si trovano a volte con stupore in provincia” così lo ricordava Maria Corti. Pagano con il coetaneo Bodini soprattutto e con Girolamo Comi, Vittore Fiore, Michele Pierri, il più giovane Ercole Ugo D’Andrea ed altri ancora, appartiene a quei letterati e poeti della Puglia del Sud che il dibattito del secondo dopoguerra arrivò a differenziare su ipotesi diverse, in quella che il critico e ispanista Oreste Macrì ebbe a definire “la diaspora salentina”.
Nel corso della serata di apertura le letture dei testi del poeta a cura di Simone Giorgino, un contributo in video di Rina Durante che racconta Vittorio Pagano (a cura di Caterina Gerardi) e l'intervento di chi ha conosciuto e collaborato con il poeta.
La copertina del libro di Alessandra Nicita edito da Besa |
A seguire Ippolito Chiarello presenterà “Arrivò l'amore e non è colpa mia”, raccolta di versi di Alessandra Nicita, Besa editrice, un libro che racconta “un bellissimo, rocambolesco e garbato viaggio attraverso tutto quello che sappiamo, ma non sappiamo di sapere”. I suoni della serata saranno quelli di Chiara Rucco al flauto e di Andrea Rucco al pianoforte.
La poesia di Vittorio Pagano
Scrive in un saggio ultimamente pubblicato su Spagine Silverio Tomeo:
"(...) Nei versi di Vittorio Pagano, come in quelli di Vittorio Bodini e di Tommaso Fiore, lampeggiano visioni numinose e vivide del Sud. Per Pagano l’incertezza frattale del paesaggio salentino sta nella forma che “una nuvola ripete”, e il mistero “è quello della luce/che splende e non esiste”, la luce meridiana. Nella percezione quasi tellurica, quasi contigua con la catastrofe, di una secolarizzazione infinita del Sud in cui giocano più libere e disincarnate le figure del sacro, non c’è tanto una linea di resistenza alla modernità, come sembra credere Franco Cassano per Pasolini, ma solo alla modernità reale, o meglio ancora alla modernità senza modernizzazione e democratizzazione.
Nella poesia di Pagano si transita dalle invettive e dallo scompiglio di un mauditisme mimato e agito come voce del dissidio, quasi una variante esistenziale del tragico, a veri e propri canti di preghiera. Le figure, che nei versi si incontrano, della grecità e della cristianità, sono quelle ormai disincantate di questa secolarizzazione che non finisce mai, come un’analisi ininterrotta, come un’aporia temporale, come un metabolismo sotterraneo. L’addio infinito ai miti del Sud, la partenza e la fuga sognate e sempre differite, il sogno di un ritorno (nostos) senza partenze, il senso di una generazione accomunata da slanci ed entusiasmi prima, poi da delusioni e ricadute, e che la diaspora del dopoguerra arriva a dividere. Il senso di un’oscura responsabilità verso la città e la terra salentina, le “impressioni di città” rintracciate nello smarrimento urbano, sono altrettante tonalità della ricerca poetica di Pagano. Da segnalare al riguardo i Reportages di città e altre prose (Conte editore, 1996), una raccolta di narrazioni e articoli di Vittorio Pagano.
In Bodini come in Pagano c’è la citazione sottintesa e colta dei poeti tradotti. Nei versi di Vittorio Pagano agisce talvolta un Poe ormai baudelariano, molto spesso Villon, persino l’elegante Verlaine, quindi Mallarmé e l’ombra più notturna di Baudelaire, in una sorta di citazionismo che non esclude Valéry e i paradossi di Apollinaire. In Bodini, naturalmente, agiscono stilemi di García Lorca e soprattutto di Rafael Alberti. C’è da aggiungere che questo avviene, in Pagano, in un esplicito omaggio al fiore della lirica italiana, sin nello spazio della sua molteplice tradizione metrica e formale, ma in un rapportarsi alle “cellule orfiche” ben presenti nel moderno. I versi inediti di Pagano, le sue ultime poesie, si indirizzano verso forme metriche più libere e l’abbandono della rima. Della produzione poetica di Vittorio Pagano possiamo accedere ben poco, oltre la breve raccolta che appare nell’antologia di Ennio Bonea, e solo in introvabili pubblicazioni o in fotocopie amatoriali.
Si attende a tutt’oggi, ma ancora inutilmente, un’iniziativa editoriale degna che ripubblichi le plaquettes dove il poeta, in poche centinaia di copie numerate, ebbe a pubblicare Calligrafia astronautica (1958), I Privilegi del povero, in quattro volumetti con testi dal 1939 al 1959, il poemetto Morte per mistero (1963), Zoogrammi (1964). A questi libricini in copie numerate c'è da aggiungere una ulteriore produzione del tutto inedita che arriva sino alla fine degli anni ’70.
Nella poesia di Pagano si transita dalle invettive e dallo scompiglio di un mauditisme mimato e agito come voce del dissidio, quasi una variante esistenziale del tragico, a veri e propri canti di preghiera. Le figure, che nei versi si incontrano, della grecità e della cristianità, sono quelle ormai disincantate di questa secolarizzazione che non finisce mai, come un’analisi ininterrotta, come un’aporia temporale, come un metabolismo sotterraneo. L’addio infinito ai miti del Sud, la partenza e la fuga sognate e sempre differite, il sogno di un ritorno (nostos) senza partenze, il senso di una generazione accomunata da slanci ed entusiasmi prima, poi da delusioni e ricadute, e che la diaspora del dopoguerra arriva a dividere. Il senso di un’oscura responsabilità verso la città e la terra salentina, le “impressioni di città” rintracciate nello smarrimento urbano, sono altrettante tonalità della ricerca poetica di Pagano. Da segnalare al riguardo i Reportages di città e altre prose (Conte editore, 1996), una raccolta di narrazioni e articoli di Vittorio Pagano.
In Bodini come in Pagano c’è la citazione sottintesa e colta dei poeti tradotti. Nei versi di Vittorio Pagano agisce talvolta un Poe ormai baudelariano, molto spesso Villon, persino l’elegante Verlaine, quindi Mallarmé e l’ombra più notturna di Baudelaire, in una sorta di citazionismo che non esclude Valéry e i paradossi di Apollinaire. In Bodini, naturalmente, agiscono stilemi di García Lorca e soprattutto di Rafael Alberti. C’è da aggiungere che questo avviene, in Pagano, in un esplicito omaggio al fiore della lirica italiana, sin nello spazio della sua molteplice tradizione metrica e formale, ma in un rapportarsi alle “cellule orfiche” ben presenti nel moderno. I versi inediti di Pagano, le sue ultime poesie, si indirizzano verso forme metriche più libere e l’abbandono della rima. Della produzione poetica di Vittorio Pagano possiamo accedere ben poco, oltre la breve raccolta che appare nell’antologia di Ennio Bonea, e solo in introvabili pubblicazioni o in fotocopie amatoriali.
Si attende a tutt’oggi, ma ancora inutilmente, un’iniziativa editoriale degna che ripubblichi le plaquettes dove il poeta, in poche centinaia di copie numerate, ebbe a pubblicare Calligrafia astronautica (1958), I Privilegi del povero, in quattro volumetti con testi dal 1939 al 1959, il poemetto Morte per mistero (1963), Zoogrammi (1964). A questi libricini in copie numerate c'è da aggiungere una ulteriore produzione del tutto inedita che arriva sino alla fine degli anni ’70.