Le parole ingombrano. Appaiono “sapute” a volte, invadenti, inopportune. Meglio far pausa dall’eccedenza, dare spazio agli occhi, all’ascolto; cosa meglio della danza allora? Meglio ancora, se la danza, celebra la poesia che alle parole dona libertà. I versi di Vittorio Bodini fanno tutt’uno con la terra, con la malìa salentina, col desiderio del “ritorno”, del rimorso, dello stupore e dello sbigottimento. “La Luna dei Borboni” è un canto dove c’è il sole, il tentativo dell’ombra e gli odori, gli odori, gli odori di uno sperato abbandono. Qui, la ferita della Storia brucia ancora, non c’è scampo e il silenzio non consola, con i grilli e le cicale a rimestare nell’animo. Solo la danza placa, allevia, sana, ma il più delle volte è illusione. Questo ho visto nelle coreografie di Fredy Franzutti.
La notte apre la scena, il respiro di un aria popolare trattenuta
nel mantice della fisarmonica disegna la scena di un “Quarto Stato”, un coro-popolo
viene avanti, compatto, in un ordine-disordine che libera e ricompone
corpi, mani alla testa di galli e di galline, braccia volte al cielo nella
speranza d’affidarsi a Dio. Come fare “in tutta questa pianura” dove “l’odore
degli agrumi e il vento/ escludono ogni memoria?”. Andare! Cercare un altrove! Tentare
il viaggio! Un migrare raccontano i danzatori del Balletto del Sud - un andarsene
nel rimanere - consapevoli dell’“incantesimo” che detta le ore, segna il
tempo e lo fa eterno.
Irresistibile la bellezza quando si svela nel tentativo dell’amore:
il passo a due con la rosa è esemplare. Un corteggiamento tutto scritto nella
corsa, nella meraviglia del salto - sfuggire per meglio accogliersi - non è
questo il dettato della passione? Del cercarsi?
L’ho visto Bodini nel suo sconfinato cercare, a Sud ogni Sud;
sul palco dell’Apollo, solo, con il suo “qui non vorrei vivere dove vivere/ mi
tocca, mio paese/ così sgradito da doverti amare”, nel suo continuo accorgersi
da poeta della poesia sottesa alla vita, nell’accadere quotidiano dove cose, persone,
animali fanno tutt’uno.
Il corpo, nella danza, porta con sé e in sé tutti i corpi
presenti all’atto. Così pare quando gli applausi sorgono spontanei dalla
platea, trascinati, dal battere dei versi sulle tavole del palcoscenico,
dettati dal divenire della luce, e t’accorgi che la fisarmonica parla, dialoga
con la tromba, con la tuba tessendo le melodie di una sospensione dove il
Barocco s’annulla e ogni finzione torna alla sua origine di tufo, di corpo nel
respiro e nell’affanno. Una comunità riconosce, il suo passato (e forse, anche,
il suo sperato presente): corpo sociale, politico materia della terra, del
cielo, del desiderio e del sogno.
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Per il Balletto del Sud, in “La luna dei Borboni”, coreografie di Fredy Franzutti. Musiche originali di Rocco Nigro (fisarmonica) e Giuseppe Spedicato (basso tuba e basso elettrico) eseguite dagli autori in scena con Giorgio Distante (Tromba). Disegno luci di Piero Calò. Visto, Domenica 24 aprile '22, al Teatro Apollo di Lecce.