Venerdì 25 novembre, alle 19.30
al Fondo Verri, la presentazione del libro “Cronache vaniniane. Una lucciola
fra splendidi pianeti - Dialogo tra un Clericaletto ed un
Vaniniano di don Salvatore Casto” di Gigi Montonato, edizioni di Presenza. Con l’autore interverrà lo
scrittore Maurizio Nocera.
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La copertina del libro delle Edizioni di Presenza |
Il 1876 è anno emblematico nelle
vicende della storia editoriale che riguarda il pensiero di Giulio Cesare
Vanini - flosofo nato a Taurisano nella notte tra il 19 e il 20 gennaio
1585 e morto sul rogo a Tolosa il 9 febbraio 1619 - in quell’anno, Giovanni
Bovio, filosofo e politico di Trani che tanto seguito ebbe nella nostra
provincia, compose il testo di una lapide commemorativa che fu oggetto di una
fiera contesa, tra sostenitori e detrattori del pensiero vaniniano. Da Cosimo
De Giorgi a Pietro Marti, da Pietro Palumbo a Francesco Rubichi, le voci a
favore furono tante, nel versante opposto “protagonista indiscusso fu un
sacerdote salentino arguto e saccente, don Salvatore Casto, parroco a Taurisano
“invischiato fino al collo nelle beghe di campanile, che si sentiva difensore
dei benpensanti, giudice delegato, giustiziere e persino vendicatore contro chi
aveva osato “consacrare” il nome di Vanini”.
Questa vicenda ricostruisce Gigi Montonato,
nel suo “Cronache vaniniane. Una lucciola fra splendidi pianeti” partendo da un
pamphlet in forma di dialogo apparso a Lecce nel 1908 e firmato Nescius,
fortunatamente non naufragato, come sicuramente tanti altri documenti vaniniani
dati al fuoco perché motivo di scandalo e oggi opportunamente rimesso in
circolazione in moderna e pratica veste grafica dalle Edizioni di Presenza.
“Don Salvatore Casto ed il
“partito” taurisanese che faceva capo al sindaco ed alle famiglie che in loro
si riconoscevano, vinse quella che Montonato definisce la “prima guerra
vaniniana” e che non fu in realtà più di una scaramuccia nella lunga
prospettiva degli studi vaniniani. Il “mistero” Vanini non a tutti allora
accessibile aveva forse due soli modi, più sicuri e più facilmente
percorribili, per essere affrontato: fare ricorso alla satira ed all'ironia o
peggio al vilipendio ed al dileggio. Don Salvatore scelse il primo ed evitò il
secondo manifestando la sua coerenza e la fedeltà al conformismo del natio
loco, non ci si poteva aspettare altro”.